Entriamo nel mondo dell’Istituto Stomatologico Toscano e scopriamo il ruolo fondamentale di Simone Marconcini, che porta avanti una missione di eccellenza e innovazione nel campo della salute dentale.
Ci illustra il suo percorso accademico e professionale fino a oggi?
Mi sono laureato a Pisa nel 2004, durante gli studi universitari ho avuto la possibilità di passare un anno presso la Facoltà di Odontoiatria di Montpellier in Francia. Dopo la laurea ho partecipato a diversi Master Universitari principalmente indirizzati all’ambito chirurgico – parodontale. Nel 2006 ho intrapreso un PhD Internazionale in Nanobiomateriali che mi ha dato la possibilità di passare un periodo in Canada presso la Facoltà di Biomateriali dell’Università di Toronto. Nel 2010 ho terminato il Phd e ho passato 6 anni all’Università di Pisa come assegnista di ricerca. Tra il 2016 ed il 2019 ho conseguito sempre all’Università di Pisa la specialità in chirurgia orale. Attualmente sono co-direttore del Master Internazionale di Implantologia presso l’Università Unicamillus di Roma e dal 2021 sono titolare di insegnamento di Patologia Speciale Odontostomatologica presso la Facoltà di Odontoiatria dell’Università di Genova. Sono autore di circa 78 articoli scientifici principalmente pubblicati su riviste internazionali.
L’istituto Stomatologico Toscano, di cui lei è membro, è attivo da tanti anni e si occupa della formazione professionale di studenti e professionisti nel settore dell’odontoiatria. Lei di che cosa si occupa nello specifico?
Sì, l’Istituto Stomatologico è una splendida realtà, conosciuta nel panorama nazionale e internazionale. Siamo un gruppo affiatato di odontoiatri con la passione per la ricerca, guidati da importanti figure di riferimento come il Prof. Ugo Covani e la Prof.ssa Annamaria Genovesi. Oggi la Fondazione Istituto Stomatologico Toscano offre circa 12 Master post graduate per odontoiatri italiani e stranieri, ma anche per igienisti dentali. L’Istituto ha un duplice ruolo: da una parte, come dicevo, la formazione e dall’altra la ricerca. Ecco, io oltre a essere co-direttore di uno dei Master Internazionali in Implantologia e a tenere diverse lezioni, mi occupo di coordinare la ricerca, quindi tenere i contatti con le aziende che ci supportano e organizzare i diversi trial clinici portati avanti dai miei colleghi.
Come specialista in Chirurgia Odontostomatologica tra soddisfazioni, risultati raggiunti, ma anche dolori e timori, ci racconta il rapporto che ha con i suoi pazienti?
La figura dell’odontoiatra oggi è una figura a mio avviso molto complessa con tante sfaccettature che dall’esterno possono passare inosservate. Il paziente è il centro della nostra professione, trovare la chiave per entrare in empatia con esso è forse uno degli aspetti più difficili, ma al tempo stesso più gratificanti della mia professione. Generalmente ho un ottimo rapporto con i miei pazienti, anche se è chiaro che ci sono persone con cui questa empatia si raggiunge più facilmente e altre con cui si fa un po’ più di fatica. Se parliamo di dolori, sicuramente il fallimento. Ho sempre diffidato dalle persone o dai colleghi che sostengono di non avere fallimenti nella loro professione o nella vita in generale. Quando parlo di fallimento non mi riferisco unicamente a un impianto perso o a una protesi rotta, ma anche e soprattutto a quei casi in cui non si riesce a trovare la chiave per instaurare un rapporto empatico con il proprio paziente. Se parliamo di timori invece personalmente forse il timore più grande è quello di perdere lo stimolo e la curiosità, forse perché identifico questa condizione con la vecchiaia intesa in senso professionale.
Può condividere con noi un momento particolarmente significativo che ha vissuto durante la sua carriera?
Ad oggi potrei identificarne due. Nel 2006 ho tenuto la mia prima conferenza negli Stati Uniti, a San Diego in occasione dell’American Academy of Periodontology. Era la prima volta che parlavo davanti a tanti colleghi, ero stato selezionato tra i vincitori della Research Forum Competition, e ricordo che presentavo uno studio di genetica; sicuramente non il mio campo. Ricordo che tra me e me pensavo: ‘ecco, ora si alza il Professore di qualche Università americana e mi fa una domanda che mi mette in difficoltà’. Invece, fortunatamente, tutto andò bene e il lavoro fu in seguito pubblicato sul Journal of Periodontology. Il secondo momento è più recente, risale al 2018, quando ho vinto il Philips Award, in occasione dell’International Association of Dental Research a Londra. È stata una bella soddisfazione anche perché in quella circostanza erano presenti sia Ugo (Covani) che Annamaria (Genovesi) e i colleghi in gara erano davvero tanti e di ottimo livello.
Recentemente, oltre che dare un’accezione clinica al concetto di mini-invasività, ne ha data una farmacologia. Ovvero tutto ciò che può ridurre l’assunzione di farmaci va preso in considerazione poiché 10.000.000 di persone rischiano di morire a causa dell’antibiotico-resistenza. Ci illustra questo concetto di vitale importanza?
Il concetto di mini invasività è probabilmente il Leitmotif del nostro Istituto, sia da un punto di vista chirurgico che farmacologico. Entriamo nel merito di un argomento molto caldo in ambito medico. Senza dubbio il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è una problematica con cui le generazioni future dovranno fare i conti, anzi purtroppo con cui già oggi i clinici devono interfacciarsi. Ecco perché questi medicinali devono essere prescritti con attenzione e solo quando vi sono le corrette indicazioni. Troppo spesso, come clinici, tendiamo a prescrivere antibiotici anche inutilmente, vedi un dente che fa male perché si è instaurato un quadro di pulpite. Dunque come giustamente menzionate sopra, tutto ciò che può ridurre la prescrizione di farmaci in generale e di antibiotici in particolare, tenendo chiaramente sempre ben presente il quadro clinico del paziente che stiamo trattando, deve essere preso in considerazione.
Possiamo affermare che scegliere i prodotti corretti per curare la nostra igiene orale aiuti a ridurre i farmaci?
Tenderei a esprimere questo concetto in modo leggermente diverso. I clinici devono indirizzare i pazienti verso i prodotti giusti. Avere una buona cura dell’igiene orale è senza dubbio il primo passo, ma siamo noi, dentisti e igienisti, che dobbiamo istruire il paziente e motivarlo a capire che oggi è lui a essere l’attore protagonista delle nostre terapie. Infine, sì certo, avere una buona igiene orale può senza dubbio incidere sulla riduzione del numero di farmaci assunti.
Fuori dal lavoro, quali sono le sue passioni e hobby?
Sono sempre stato un amante dello sport quindi, tutte le volte che posso, prendo le mie racchette da tennis e scappo al circolo!
Questa intervista fa parte di una campagna ADV realizzata da Emoform in collaborazione con specialisti del settore per offrire informazioni di valore ai lettori.